Confindustria
mar 27 giu, 2017
CIRCOLARE INFORMATIVA SINDACALE E LAVORO N. 9 DEL 27 GIUGNO 2017
AREA SINDACALE E LAVORO: AGGIORNAMENTI NORMATIVI E GIURISPRUDENZIALI

CIRCOLARI/NORMATIVA/INTERPELLI

Circolare lnps 2 maggio 2017 sulle procedure da seguire in caso di riduzione del periodo di malattia
Con la circolare n.79 del 2.5.2017 finalmente viene chiarito che il lavoratore non ha il solo onere ed obbligo di comunicare l'eventuale prolungamento dello stato di malattia, ma deve comunicare tempestivamente l'eventuale guarigione anticipata così da consentire un rientro in azienda anticipato rispetto ad una prognosi eccessivamente garantista.
In buona sostanza I'INPS chiarisce che il certificato medico di malattia, che deve necessariamente contenere la data di fine prognosi, è suscettibile di variazione non solo in termini di prolungamento della malattia ma anche di riduzione.
Nel quale ultimo caso l'interessato è tenuto a richiedere una rettifica del certificato in corso recandosi dallo stesso medico che ha reso la prognosi in ragione della quale è stata giustificata l'assenza dal lavoro.
La rettifica della data di fine prognosi è atto dovuto sia nei confronti del datore, che in assenza di rettifica non può certamente riammettere al lavoro il dipendente formalmente malato così mettendo a rischio il suo stato di salute, ma anche nei confronti cieli' INPS che, in assenza di rettifica, erogherebbe un'indennità in favore di un soggetto sano.
Una volta effettuata la rettifica, il lavoratore è tenuto a dare formale comunicazione all'INPS dell'intervenuta cessazione del proprio stato morboso.
Affinché tale rettifica sia considerata tempestiva, non è sufficiente che venga effettuata prima del termine della prognosi, ma deve intervenire prima della ripresa anticipata dell'attività lavorativa.
Per la mancata o tardiva comunicazione della ripresa anticipata dell'attività lavorativa sono previste le stesse sanzioni già previste in caso di assenza ingiustificata alla visita di controllo e, quindi, la sanzione sarà pari al 100% dell'indennità per un massimo di 10 giorni, e sarà conteggiata fino al giorno precedente la ripresa dell'attività lavorativa intendendosi quest'ultima alla stregua di una dichiarazione di fatto di fine malattia.

Nuove disposizioni per l'ottenimento del DURC: Circolare Inail n . 18/2017; Circolare lnps n. 80/20178
Segnaliamo le due Circolari lnps 80/20178 e lnail 18/2017 con le quali i due Istituti dettano la disciplina per il rilascio del Durc nei confronti di debitori che, pur avendo debiti iscritti a ruolo, abbiano entro il 21 aprile di quest'anno, aderito alla definizione agevolata prevista dall'art. 6 del D.Lgs. n. 193/2016, e cioè alla cd. rottamazione delle cartelle esattoriale. Le Circolari si sono rese necessarie a seguito della entrata in vigore del D.L. n. 50/2017 del 24 aprile scorso, il cui art. 54, appunto, concedeva ai debitori che avessero aderito al programma di definizione agevolata delle cartelle esattoriali, di ottenere comunque il Durc, ove ricorrano tutti gli altri requisiti. Entrambe le Circolari prevedono che il mancato pagamento, così come il pagamento irregolare o tardivo determinano la decadenza dei Durc nel frattempo rilasciati. Mentre per l' lnail le relative procedure sono in corso di perfezionamento, l'lnps, attesta la Circolare, ha già provveduto a creare all'interno del TAB "Note azienda" la procedura " Durc on line" che
consentirà agli operatori dell' Istituto di mettersi in contatto direttamente con i contribuenti in contraddittorio con questi ultimi.

Seminario "Italia- Brasile: Modelli sociali a confronto"- Roma, 12 luglio presso sede CNEL
Si segnala il Seminario, organizzato dalla Associazione Studium Italia-Brasile in collaborazione con l'Università La Sapienza di Roma, dal titolo "Italia- Brasile: Modelli sociali a confronto", che si terrà il 12 luglio p.v. alle ore 9,30 presso il CNEL (alleghiamo relativo Programma, i lavori saranno introdotti e moderati dal nostro amico/collega, Avv. Giorgio Sandulli).

GIURISPRUDENZA

Cass. n. 11027/2017 licenziamento disciplinare e previsioni contrattuali
Con la sentenza 5 maggio 2017, n. 11027 la Corte di Cassazione ha affermato che non integra il licenziamento per giusta causa l'alterco con un superiore avvenuto in orario non lavorativo, non seguito dalle vie di fatto.
Ciò in quanto il contratto collettivo applicato prevede che l'alterco nello stabilimento, non seguito da violenza fisica, è sanzionato con la multa o la sospensione.
Nel caso sottoposto il Giudice di legittimità ha escluso che l'episodio contestato al lavoratore potesse qualificarsi, come invece richiesto dal datore di lavoro, come un'insubordinazione, trattandosi di un semplice litigio.
Come chiarito dalla Corte di Cassazione, l'insubordinazione consiste nel rifiuto di eseguire un ordine impartito dal superiore gerarchico, mentre in questo caso è stato accertato che l'operaio non ha rifiutato alcuna direttiva ricevuta. Inoltre, l'episodio era avvenuto durante una pausa caffè, prima dell'inizio del turno (dunque, non durante l'orario di lavoro).
Del resto, va escluso che «i vincoli gerarchici tra le persone si estendano anche al di fuori dell'orario di lavoro e che ad essi debbano essere improntati tutti i rapporti fra loro». Dunque, la qualità personale del destinatario dell'espressione ingiuriosa non trasforma, automaticamente, in insubordinazione quel che è un mero alterco o diverbio, vale a dire quello che i vocabolari della lingua italiana definiscono come «scambio aspro e scomposto di parole e/o di insulti», o come «lite verbale» o come «discussione molto animata». Ciò a maggior ragione in quanto l'episodio è avvenuto davanti alla macchinetta del caffè pochi minuti prima dell'inizio del turno, vale a dire nello stabilimento, ma non durante l'orario di lavoro.
La Corte di Cassazione ha, dunque, ribadito il costante principio di diritto secondo cui il Giudice del merito non è vincolato da eventuali difformi previsioni della contrattazione collettiva, in quanto la giusta causa (o il giustificato motivo soggettivo) è una nozione legale.
Pertanto, il Giudice di merito ha il dovere di controllare la rispondenza delle previsioni collettive al disposto dell'art. 2106 c.c., rilevandone la nullità di quelle che prevedono come giusta causa o giustificato motivo di licenziamento a fronte di condotte, per loro natura, assoggettabili solo a sanzioni conservative.
Nel caso in cui un contratto collettivo contenga una elencazione esemplificativa di infrazioni passibili di licenziamento, il Giudice può estenderne il novero anche ad ipotesi non previste da alcuna clausola contrattuale, nel rispetto degli artt. 2119 e 2016 cod. civ., ma non già di trasformare in giusta causa di recesso una condotta che le parti collettive hanno espressamente considerato come suscettibile di mera sanzione conservativa.

Cass. n. 6405/2017 sull'evasione contributiva
Con la sentenza n. 6405 del 13 marzo 2017, la Corte di Cassazione, chiarisce che si configura un'evasione contributiva vi sia un occultamento di rapporti di lavoro ovvero di retribuzioni erogate e che il datore di lavoro abbia la volontà specifica di non versare i contributi o i premi.
In particolare nel caso oggetto della questione, in primo grado era stato accertato che erano stati stipulati fittiziamente alcuni contratti di lavoro a progetto in assenza di specificità del medesimo, in luogo di contratti di lavoro subordinato, al fine di pagare contributi in forma ridotta.
La Corte di Appello aveva quindi accolto il ricorso dell'INPS e, in via incidentale, dell'INAIL, riconoscendo che sussistesse un'ipotesi di evasione contributiva e rigettando le opposizioni della società contro le cartelle di pagamento di contributi e premi evasi relativamente ai lavoratori interessati.
La Corte di Cassazione, ha respinto il ricorso della società affermando in particolare che affinché si possa parlare di evasione contributiva ex art. 116, co. 8, lett. a), L n. 388/2000, si richiede non solo che vi sia un occultamento di rapporti di lavoro ovvero di retribuzioni erogate (requisito che si considera soddisfatto anche quando la denuncia sia incompleta o non veritiera), ma anche che, alla base dell'occultamento, vi sia la volontà specifica di non versare i contributi o i premi.
La riqualificazione del rapporto di lavoro da collaborazione a subordinato, ai fini contributivi sottende una presunzione di intento fraudolento, da parte del datore di lavoro, intento che potrà essere superato solo se lo stesso datore di lavoro riesca a dimostrare l'assenza di intenti dolosi nel ricorso a tale tipologia contrattuale.
Con tale sentenza la Corte richiama in parte quanto precedentemente statuito nella sentenza a sezioni unite n. 4808 del 7 marzo 2005, in cui la Corte aveva affermato che "la fattispecie dell'omissione contributiva deve ritenersi limitata all'ipotesi del (solo) mancato pagamento da parte del datore di lavoro, in presenza di tutte le denunce e le registrazioni obbligatorie necessarie, mentre la mancanza di uno solo degli altri necessari adempimenti (in quanto funzionali al regolare svolgimento dci compiti dell'ente previdenziale e alla tempestiva soddisfazione dei diritti pensionistici dei lavoratori assicurati) è sufficiente a integrare gli estremi dell'evasione".
La Corte supera il precedente orientamento che invece riteneva che la riqualificazione del rapporto da collaborazione in subordinato rientrasse nella meno grave figura di omissione contributiva, che comporta l'applicazione di sanzioni meno gravose per il datore di lavoro.
Dopo questa pronuncia invece, il datore rischia di vedersi applicare le sanzioni per evasione, laddove non dimostri l'assenza di dolo nell'instaurazione del rapporto formalmente autonomo o di collaborazione coordinata e continuativa e quindi la sua buona fede.
Cass. n. 13178/17 licenziamento e proporzionalità
Con la sentenza del 25 maggio 2017, n. 13178, la Corte di Cassazione ha stabilito che, a seguito della modificazione dell'art. 18 della legge n. 300/1979 (ad opera della cd. legge Fornero), la sproporzione tra il comportamento ascritto con la contestazione disciplinare ed il licenziamento può comportare la reintegrazione nel posto di lavoro solo se ciò emerge dal Contratto Collettivo (o dal codice disciplinare) . Tale ipotesi integra la cd. "insussistenza del fatto contestato".
Si legge nella sentenza richiamata < Come è noto, dopo un primo intervento del Giudice di legittimità che venne ad orientarsi inizialmente nel senso della confluenza del diritto di assemblea nel funzionamento collegiale della r.s.u. negando, di conseguenza, la legittimazione del singolo componente all'indizione di assemblee (Cass. 26 febbraio 2002, n. 2855) la questione venne nuovamente affrontata e risolta in senso opposto da Cass. 1 febbraio 2005, n. 1892, con argomentazioni oggi riprese ed ampliate dalle Sezioni Unite. Tale divergenza si è perpetuata con un alternarsi di pronunce di segno diverso sino al 2014, inducendo nel 2016 la Sezione lavoro a rimettere la decisione alle Sezioni Unite.
Queste ultime hanno accolto la soluzione interpretativa secondo cui il subentro dei componenti delle r.s.u. ai dirigenti delle r.s.a. disposto dalle clausole sopra richiamate deve essere inteso come riferito non solo alle prerogative puntualmente attribuite dallo Statuto dei lavoratori ai dirigenti di r.s.a., ma dovrebbe essere viceversa letto in senso esteso: vale a dire come "accentramento" nella figura del singolo componente di r.s.u. anche di prerogative che nell'originaria disciplina statutaria non vengono configurate come situazioni soggettive direttamente ed atomisticamente imputabili ai dirigenti, bensì come "funzioni"- per utilizzare lo stesso lessico adottato dai firmatari dell'A.l. del 1993 - attribuite ali 'organismo rappresentativo nella sua interezza. Tuttavia, la sentenza odierna non attribuisce una valenza particolarmente significativa alla pur evidente diversificazione riscontrabile a livello normativa tra le attribuzioni dei dirigenti e quelle già in origine conferite alle rappresentanze sindacali aziendali quali organismi sovraindividuali che pur costituisce il dato di riferimento sul quale viene ad innestarsi, in via integrativa, la regolamentazione pattizia dell'accordo interconfederale (ed ora del Testo unico sulla rappresentanza).
Vengono valorizzate, invece, le previsioni enunciate nell'art. 4 dell’A.I. che attribuiscono all'autonomia collettiva la competenza a “definire soluzioni" per il mantenimento di "una specifica agibilità sindacale" alle singole sigle i cui candidati siano presenti nella r.s.u., sia la puntuale attribuzione alle associazioni sindacali stipulanti il CCNL applicato nell'unità produttiva del diritto all'indizione di tre delle dieci ore annue di assemblee retribuite.
Questi elementi interpretativi vengono ritenuti di importanza prevalente sia rispetto alla già richiamata distinzione tra attribuzioni dei singoli dirigenti (pacificamente oggi riconosciute ai componenti delle r.s.u.) e delle r.s.a. globalmente intese (alle quali, nell’'altrettanto pacifica impostazione dell'A.l. dovrebbe subentrare la r.s.u. nel suo insieme e non i singoli eletti che la compongono) sia rispetto al metodo collegiale che, come confermato anche dalle previsioni del Testo unico, rappresenta l'ordinaria modalità decisionale delle r.s.u. e rispetto alla quale l'indizione individuale dell’'assemblea si pone in stridente dissonanza.
La soluzione a cui è pervenuta la sentenza delle Sezioni Unite, come è stato già evidenziato nei primissimi commenti (cfr. le considerazioni critiche di R. De Luca Tamajo ne Il Sole24 Ore dello scorso 11 giugno) non sortirà in ogni caso l 'effetto di comporre il dibattito sul rapporto tra diritto di assemblea e regolamentazione pattizia delle r.s.u. che ha trovato il suo punto di emersione nel contrasto giurisprudenziale sopra rievocato.
Suscita forte perplessità, infatti, la scelta di individuare come principali basi argomentative della soluzione accolta dalle S.U. una prima previsione negoziale meramente programmatica e priva di effetti immediati (ossia quella dell'art. 4 che rimette alla contrattazione collettiva nazionale o di altro livello la definizione di eventuali ulteriori condizioni di agibilità sindacale) accanto all'altra clausola, sempre contenuta nell'art. 4, che delinea l'attribuzione del diritto all'indizione di tre ore di assemblea alle associazioni sindacali stipulanti il CCNL in termini di evidente eccezione rispetto al generale subentro delle r.s.u. nell'esercizio delle altre prerogative di legge.
Così ragionando, in termini di mantenimento di ogni competenza in tema di assemblea nell'ambito delle singole sigle i cui eletti siano presenti nella r.s.u., è facile rilevare come l'ampliamento dell'eccezione non sembri lasciare spazio alcuno all'operatività della regola.
Così come non può non suscitare riserve l'argomentazione, non sostenuta in buona sostanza da alcun chiaro riferimento testuale, secondo la quale l'operatività del principio di maggioranza quale metodo decisionale della r.s.u. dovrebbe intendersi delimitata al solo momento negoziale e non si estenderebbe alle assemblee come "momenti di confronto che precedono e preparano quelli decisionali propriamente detti" (così la motivazione della sentenza). Un'affermazione siffatta si espone, nella sua opinabilità, ad essere letta come una sostanziale petizione di principio, essendo oltremodo facile replicare come se il "momento decisionale" implica e presuppone il confronto collegiale, non si vede la ragione per la quale anche il confronto propedeutico non debba essere improntato allo stesso principio.
Le Sezioni Unite intervengono dunque su una questione che ha fatto discutere proponendo una soluzione destinata ad alimentare ulteriormente la discussione e che anche in relazione alle novità testuali presenti nel Testo Unico sulla rappresentanza che rimarca in termini ancor più espliciti la scelta del principio maggioritario (sebbene tali mutamenti siano considerati non rilevanti dall'odierna sentenza in un obiter piuttosto assertivo e frettoloso) potrà meritare un ulteriore approfondimento e forse un radicale riesame.


CIRCOLARE INFORMATIVA SINDACALE E LAVORO N. 9 DEL 27 GIUGNO 2017