Confindustria
mer 18 dic, 2013
APPUNTAMENTO CON ASSOCARNI: NATALE A TAVOLA. RINUNCIAMO AGLI SPRECHI, NON ALLE TRADIZIONI
Newsletter dell'Unione Nazionale Consumatori

Natale è alle porte e in molti si trovano con un dilemma: rinunciare ai menù tradizionali, generalmente a base di carne e pesce, o concedersi il piacere di vedere sulla propria tavola capponi, carni ovine, brasati e altri piatti tipici della tradizione italiana. Ma perché, oggi, ci si ritrova con questo dubbio? Per l’imperversare della crisi economica, che obbliga sempre più persone a farsi due calcoli in più, anche e soprattutto a Natale. Una crisi di cui ormai sentiamo parlare in ogni dove, forse anche laddove non c’è, ma che ci dice una cosa importante: costa più lo spreco di un menù soddisfacente.

Negli anni scorsi abbiamo tutti avuto modo di notare come, immuni all’idea di vivere la crisi, le famiglie del Belpaese non si siano fatti troppi scrupoli a gettare nel cassonetto enormi quantità di cibo, carne inclusa. Oggi, però, in tempi di maggiori ristrettezze la domanda sorge spontanea: non è forse riducendo gli sprechi, invece che rinunciando alla carne e alle ricette natalizie, che possiamo minimizzare le nostre spese eccessive e, contemporaneamente, il nostro impatto sull’ambiente?

La risposta è sì, soprattutto se si considerano i numeri di uno sperpero francamente inaccettabile. Basti pensare che, in un mondo in cui secondo le stime della FAO (l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura) il 12,5% dei sette miliardi di persone che popolano il nostro pianeta è sottonutrito (in altre parole, quasi un miliardo di individui non ha di che sfamarsi), solo noi Italiani buttiamo via ogni anno cibo per un valore di 18 miliardi di euro.

Gli sprechi di cibo crescono anche in tempi di crisi economica. Secondo una recente ricerca dell’Università di Milano, "Dar da mangiare agli affamati. Le eccedenze alimentari come opportunità" di Garrone P., Melacini M., Perego A. (2012, Guerini e Associati, Milano), lo spreco di alimenti in Italia rappresenta il 17% dei consumi annui. Una bella quantità in un Paese in cui il costo della vita sembra all’apice delle preoccupazioni di molti. E uno spreco enorme, che lascia ancora più perplessi se si traduce in valori nutritivi: questi quantitativi di rifiuti commestibili, infatti, sarebbero sufficienti a sfamare l’intera popolazione del Ruanda.

"I dati per il nostro Paese sono choccanti" afferma Andrea Segrè, presidente di Last Minute Market e preside della facoltà di Agraria presso l'Università di Bologna, durante un’intervista del quotidiano La Stampa: “Lo testimoniano rilevazioni aggiornate del nostro Osservatorio Waste Watcher: lo spreco alimentare rappresenta addirittura l’1,19% del Pil (circa 18,5 miliardi riferiti al 2011). Una stima della quale 'soltanto' lo 0,23% si colloca nella filiera di produzione (agricoltura), trasformazione (industria alimentare), distribuzione (grande e piccola) e ristorazione (collettiva), mentre il resto è tutto a livello domestico e rappresenta lo 0,96% del Pil”.

In pochi sanno che, nonostante il processo di demonizzazione in corso ormai da anni, la filiera della carne è in questo senso la più virtuosa. La produzione e il consumo di carne, infatti, generano una quantità di scarti (cibo commestibile "perso" nella filiera produttiva) e rifiuti (cibo buttato una volta immesso sul mercato) più che dimezzata rispetto a frutta e verdura, e pari quasi alla metà dei rifiuti prodotti dalla filiera dei cereali. Scarti che, come accennato da Segrè, nonostante gli sforzi di ridurre l’impatto ambientale di questo settore, sono dovuti prevalentemente alla fase di consumo finale.

I prodotti alimentari più sprecati, in effetti, sono quelli di origine vegetale. Anche se oggi i consumatori troppo spesso di corsa acquistano l’insalata in busta (cd 4 gamma) che costa 10/12 euro/kg, quindi molto di più della carne se si tiene conto del diverso valore nutrizionale. Al contrario, ci si guarda generalmente bene dallo sprecare i prodotti di origine animale (carne, pesce, latte), indipendentemente dal loro prezzo. Un fatto, questo, probabilmente legato anche al valore sociale e culturale percepito da secoli per questi alimenti.
Lo spreco miliardario di cibo a cui assistiamo, insomma, è dovuto soprattutto alle nostre abitudini, ai nostri stili di vita, alla nostra disattenzione. Pensiamoci, quando andiamo a preparare il menù di Natale, festività che ci dovrebbe ricordare come sia più grave, irrispettoso ed insostenibile avere un miliardo di persone senza cibo, al mondo, che non il mangiare un po’ di carne durante le Feste.

Fonte: Unione Nazionale Consumatori 18 dicembre 2013

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